Il 28 febbraio del 1998 la Camerata strumentale iniziava festosamente la sua attività e diventava parte del patrimonio della città di Prato, un segno di orgogliosa appartenenza che porta iscritto nel proprio nome fin dal primo giorno. In quella data, a dire il vero, si apriva un complesso cantiere, destinato negli anni a moltiplicarsi con tante impalcature e l’impresa di nuovi lavori.
Quel primo concerto non ci consegnava un’orchestra compiuta ma l’inizio della costruzione di un’Orchestra. Si doveva costruire anche un pubblico, e fu aperto un cantiere permanente che si è mostrato sempre più operoso e efficace. Il cantiere più impegnativo ma anche più indispensabile fu allestito, da subito, per rendere l’Orchestra un veicolo privilegiato per far conoscere la musica ai più giovani. Da allora, nelle stagioni concertistiche, diecine di migliaia studenti pratesi, per vent’anni, sono stati accompagnati a maturare un ascolto consapevole. Ci siamo accorti che gli anziani delle nostre case di riposo non potevano restare privi di un loro cantiere, e ne abbiamo aperto uno anche per loro. Per meglio organizzare e controllare i lavori, e per moltiplicarne l’efficacia, abbiamo preso casa insieme alla Scuola Comunale di Musica «Giuseppe Verdi» in Palazzo Martini, dove tra poche settimane si aggiungerà anche Rete Toscana Classica, a completamento di un’officina musicale in grado di diffondersi via radio e sul web. Ci siamo messi in testa di aprire anche un cantiere navale, e tutti insieme abbiamo costruito un’Arca, quella immaginata da Benjamin Britten, abitata da bambini che cantano e suonano l’arcobaleno della musica. Da quell’avventura abbiamo capito che si doveva aprire un altro cantiere, dove ogni cittadino potesse partecipare attivamente alla gioia della musica cantando in un nuovo, grande coro per contribuire con partecipazione personale alla costruzione della bellezza.
Vent’anni spesi nell’allestimento di cantieri che da ora in avanti possono lavorare a pieno regime a realizzare un’idea più grande, costruire una città nuova. La materia di cui disponiamo in abbondanza per innalzare questa nuova città sono i sogni. La nuova Stagione concertistica guarda in avanti e inizia a segnare il tracciato del progetto. Per garantire la forza e la stabilità di questa città che si fonda sul valore comunitario della cultura e in particolare della musica condivisa, chiamiamo in causa i migliori ingegneri di umanità. Beethoven, prima di tutti, con tre Sinfonie, e Bach, Mozart, Haydn, Mendelssohn, tutti legati insieme dalla medesima nobiltà dello spirito.
A questi si affianca, per un omaggio doveroso nell’anno centenario della sua nascita, la meravigliosa figura di Leonard Bernstein, che meglio di ogni altro seppe distribuire la gioia della musica come compositore, direttore d’orchestra, pianista e eccezionale divulgatore. A lui e alla sua irrefrenabile disposizione all’abbraccio nell’umanità della musica abbiamo dedicato una nuova commissione, affidata a Alessandro Cavicchi, intitolata appunto Embraceable Lenny. La presenteremo nell’ultimo concerto della Stagione, accanto all’energia spirituale e positiva dei Chichester Psalms, intonati dal Coro della Città.
Abbiamo chiamato amici a dare una mano per costruire. A Giovanni Sollima abbiamo chiesto di mettere la sua travolgente energia al servizio del superamento dei confini fra i generi musicali, così come continuiamo a fare insieme a Metastasio Jazz. Quei confini non esistono nella città dei sogni, abitata solo dalla musica di qualità. Abbiamo chiesto a Luigi Piovano di affiancarci col suo violoncello e con la sua vigile musicalità di direttore e a illustri pratesi come Alberto Bocini, Gabriele Giacomelli e Nicola Mazzanti di contribuire al progetto. E allora, uniamoci nella costruzione, confortati dall’arte generosa del nostro capo carpentiere Jonathan Webb, il primo a credere con forza nella necessità di realizzare questi nuovi spazi abitativi per l’anima, con l’energia e la sapiente professionalità di una squadra formata da meravigliose maestranze, la Camerata strumentale della nuova «Città di Prato».
Alberto Batisti